Il Museo delle Anime

Sapevi che sul lungotevere Marzio sorge un Duomo di Milano in miniatura?

Ebbene, la chiesa del Sacro Cuore del Suffragio, con le sue bianche guglie e i suoi cuspidi, ricorda il famoso Duomo; ma non è solo per questa caratteristica che si  aggiudica una pagina sul nostro blog. Questo monumento neogotico infatti accoglie tra le sue mura un  museo particolare: il Museo delle Anime del Purgatorio! Di che si tratta?

Come al solito per capire  bisogna fare un viaggio nel tempo fino all’ Ottocento, quando su quei luoghi sorgeva un antico oratorio rimasto coinvolto in un incendio che lo devastò; una  disgrazia, certo, ma nulla di speciale se non fosse che l’allora sacerdote Victor Jouet scorse tra i resti fumanti la misteriosa impronta di un volto sofferente impressa sopra una delle colonne dietro l’altare. Sconvolto e affascinato dalla scoperta, l’uomo chiese al papa di poter edificare su quel luogo una chiesa ed in seguito si mise in viaggio per l’Europa alla ricerca di altri segni simili, poiché convinto fossero messaggi che le anime del purgatorio destinavano ai vivi; quelle anime chiedevano preghiere e penitenze per espiare i loro peccati.

Oggi recandosi in quella chiesetta sul lungotevere è possibile osservare il risultato delle sue ricerche.

Chiesa Sacro Cuore del Suffragio

Chiesa Sacro Cuore del Suffragio

 

Sacro Cuore del Suffragio-navata centrale

Sacro Cuore del Suffragio- Navata centrale

Impronta di fuoco- libro di preghiere

Impronta di fuoco- libro di preghiere

Roberta Sardo

Foto da: mappae-mundi.tumblr.com, www.06blog.it, purgatorio.altervista.org

 

Il “dinosauro” bianco di Roma che accoglie ogni viaggiatore

Le stazioni ferroviarie sono dei luoghi di transizione, di passaggio. Spesso le persone ci passano in gran corsa per andare a prendere questo o quel treno, senza mai avere neppure il tempo di guardarsi intorno e riflettere su quelle pareti, sulla loro provenienza e sul perché siano proprio in quel modo e non in un altro. Anche chi si ferma per un po’, magari in un’attesa imprevista o un po’ più lunga del solito, non lo fa pensando al luogo che lo circonda.

Le stazioni, in fondo, sono dei “non luoghi” perché non esistono come posti a sé, esistono in funzione delle mete che le persone che ci passano vogliono raggiungere. Sono paragonabili all’atrio di una casa, che accoglie ogni ospite e viaggiatore, ma che viene attraversato già con il pensiero di quello che ci sarà dopo.

Roma Termini

Roma Termini

John Lennon cantava che “La vita è quello che ti accade mentre sei occupato a fare altri progetti”. Ecco, forse anche per i posti vale lo stesso. Alcune volte capita che i luoghi li dai per scontato, li vivi superficialmente perché sei impegnato a fare altro e poi ti rendi conto che – forse – ti saresti potuto fermare un attimo di più ad assaporarli e conoscerli.

Noi abbiamo fatto proprio questo: ci siamo recati in Punta di Piedi in un posto che tutti conoscete ma che forse ha qualcosa in più da raccontare.

Si tratta della Stazione di Roma Termini che si trova sul colle Esquilino ed è la più grande d’Italia e al secondo posto in Europa.

Il nome della stazione deriva dal latino thermae, in riferimento alle vicine Terme di Diocleziano che quindi le danno il nome.

La stazione nasce da un progetto del 1860, presentato all’allora papa Pio IX, inizia ad essere costruita nel 1862 e aperta al pubblico nel 1863. Il suo nome inizialmente era Stazione Centrale delle Ferrovie Romane. Tra varie interruzioni dovute a diverse vicissitudini storiche, la stazione viene finalmente ultimata nel 1874 sulla base di un progetto dell’architetto Salvatori Bianchi.

Roma Termini esterno

Roma Termini esterno

La piazza di fronte alla stazione che ha il nome di Piazza Termini – e che nel 1888 diventa l’attuale Piazza dei Cinquecento in onore dei 500 soldati morti a Dogali-  ospita l’Obelisco di Dogali che, successivamente, negli anni ’20 viene spostato nel giardino di via delle Terme di Diocleziano. Nei dintorni, poi, la stazione è circondata da terreni che erano horti, ossia residenze di campagna e alcune superstizioni dicono fossero infestate dai fantasmi.

Nel 1942 si decide di rinnovare e rendere più moderna la stazione e lo si fa attraverso un progetto di Angiolo Mazzoni. La guerra, però, pone un forte freno ai lavori che vengono ultimati nel 1950.

Il "Dinosauro" - Roma Termini interno

Il “Dinosauro” – Roma Termini interno

L’idea alla base del progetto è di dare continuità alla struttura rispetto a quello che la circonda, ed in particolare alle Mura Serviane. Per questo motivo la stazione assume il colore bianco ed ha una struttura semplice ed essenziale. Questa sua conformazione e la volontà di far sì che l’edificio abbia un’armonia con il contorno le valgono il nome di “dinosauro” perché il soffitto dell’atrio è ricoperto da tessere bianche di marmo che ricordano delle scaglie.

Sempre su Piazza dei Cinquecento c’è la Lampada OSRAM, un palo alto con in cima una serie di lampada a vapori di mercurio e che viene impiantata nel 1960 dalla OSRAM, appunto, in occasioni delle Olimpiadi di Roma.

Lampada Osram

Lampada Osram

Insomma, Roma Termini ha una sua storia, che la eleva ufficialmente dalla condizione di “non luogo” e la fa diventare a tutti gli effetti un luogo che ha le sua storia e le sue storie da raccontare. Una storia legata alla sua costruzione e che noi vi abbiamo narrato; delle storie legate a chi ci passa sempre o c’è passato, che potreste – invece – raccontare voi a noi.

Articolo di Federica Ponza

 

Margherita d’Austria e la diffusione del suo nomignolo a Roma

Sapevi che il termine Madama era d’uso comune tra i  romani per indicare la polizia?

Le origini del nomignolo risalgono al Settecento, quando papa Benedetto XIV insediò la polizia cittadina presso palazzo Madama; la madama di cui il palazzo prese il nome era Margherita d’Austria che, come moglie di Alessandro de’ Medici, visse in questo palazzo per ben dieci anni.

Il palazzo venne adibito successivamente a sede delle poste pontificie ed oggi ospita il Senato della Repubblica.

Palazzo Madama-sede del Senato

Palazzo Madama-sede del Senato

Margherita d’ Austria

 

Roberta Sardo

Foto da: www.senatoperiragazzi.it, luigisettimi.blogspot.com

Simbolismo, leggende e competizione. Tutto quello che non sapete sulla Fontana dei Quattro Fiumi

La Fontana dei Quattro Fiumi

“L’acqua non aspetta mai.

Cambia forma e scorre attorno alle cose, trovando sentieri segreti a cui nessun altro ha pensato…”.

Arthur Golden

Oggi, con Roma In Punta di Piedi, passeggerete in una della più belle e conosciute piazze della capitale: Piazza Navona, sempre frequentatissima da romani e turisti, colpiti dai tanti artisti che ogni giorno l’affollano con le loro tele, ritratti e caricature! La sua forma ellittica la rende uno dei luoghi più affascinanti di Roma…Infatti, e forse non lo sapete, era lo stadio di Domiziano. Orgoglio della Roma barocca, a Piazza Navona sorge una delle fontane più celebri dell’intera città: la Fontana dei Quattro Fiumi. L’avrete vista tante di quelle volte, ma sapete la sua storia? E la simbologia e le leggende che aleggiano su di essa?

Innanzitutto bisogna tornare indietro nel tempo, nel lontano luglio 1648 e fino al giugno di tre anni dopo. La costruzione della fontana ha infatti visto scontrarsi due artisti italiani di fama internazionale: Borromini e Gian Lorenzo Bernini. La storia racconta che proprio Bernini, per ottenere la commissione da Papa Innocenzo X, diede in dono alla famosa cognata, Donna Olimpia Maidalchini, un modello dell’opera che aveva in mente, in argento e alto un metro e mezzo. Olimpia, influente e particolarmente avida, convinse il Papa a scegliere Bernini e Borromini ne fece le spese, dando così vita all’eterna rivalità tra i due architetti. Non solo: Bernini riuscì ad entrare nelle grazie del Papa anche per la metafora che reggeva il suo progetto: “la grazia divina che si riversa sui quattro continenti”.

La Fontana e la facciata di Sant’Agnese in Agone

Ma la fontana a cosa deve il suo nome? Le grandi figure maschili scolpite nel travertino rappresentano i fiumi più lunghi del mondo, almeno per le conoscenze geografiche dell’epoca. Inoltre ogni fiume rappresenta un continente: il Danubio, il Nilo, il Gange e infine il Rio della Plata. Dobbiamo la loro scultura ad alcuni celebri collaboratori di Bernini, rispettivamente Ercole Antonio Raggi, Jacopo Antonio Fancelli, Claude Poussin e Francesco Baratta. Per quanto riguarda le proporzioni e la grandezza di queste figure possiamo far riferimento a un documento custodito nell’Archivio di Stato di Roma nel quale Raggi scrive: “si obliga far detta statua o fiume d’altezza se si drizzasse in piedi di palmi 20 di misura Romana”, cioè circa quattro metri e mezzo. Secondo la tradizione persino le statue sarebbero state scolpite in atteggiamenti rivali, a significare la competizione tra Bernini e Borromini che, tra l’altro ha progettato la Chiesa di Sant’Agnese in Agone, proprio di fronte alla fontana. Per esempio, la statua che sta a simboleggiare il Rio della Plata ha un braccio alzato per difendersi dal crollo dell’edificio che ha proprio di fronte a sé, invece quella del Nilo si copre gli occhi con un velo per non guardare Sant’Agnese, opera borromiana.

Il Nilo

In realtà, quest’ultimo gesto potrebbe avere un altro significato: celarsi in riferimento al fatto che la sorgente del fiume africano rimase ignota fino al XIX secolo. La parte bassa della scogliera raffigura la flora e la fauna dei quattro continenti: un cavallo che si abbevera sotto il Danubio, un mostro marino, un coccodrillo, fiori e cactus, un leone e un drago sotto il Rio della Plata. Quest’ultimo trasfigura l’armadillo imbalsamato di provenienza americana che pendeva dal soffitto della Wunderkammer del museo di Athanasius Kircher, un gesuita con cui Bernini era in contatto. L’intento di  Bernini era quello di suscitare meraviglia in chi ammira la fontana, componendo un piccolo universo in movimento a imitazione della realtà naturale. Col suo talento riesce a ottenere sensazioni atmosferiche, scompigliando palme e criniere di cavallo. Creazione divina, luci e ombre, piena e secca sono alla base della costruzione della fontana. L’apice si raggiunge con la figura della colomba che sta a significare, insieme allo stemma papale, la rivelazione cristiana.

Particolare della Fontana

La fontana è poi protagonista di un curioso episodio datato 12 giugno 1651, giorno della sua inaugurazione, alla presenza di papa Innocenzo X. Dopo aver scoperto il lavoro di Bernini, tutti rimasero folgorati dalla bellezza delle statue e dalle decorazioni in vernice dorata, ma la fontana era priva di acqua. Bernini raccolse le congratulazioni di tutti, compreso il papa, che non accennò alla mancanza per non umiliarlo e, solo quando il pontefice stava per andarsene, ad un cenno di Bernini, venne finalmente aperta la leva che fece sgorgare le acque, con grande ammirazione di tutti i presenti. Al che il Papa disse: “Cavalier Bernini, con questa vostra piacevolezza ci avete accresciuto di 10 anni di vita!”.

La Fontana dei Quattro Fiumi è diversa da tutte le altre per significati e leggende. Inoltre, è resa ancora più particolare dal fatto che l’acqua non zampilla, ma sorga dalle rocce, si trasforma in piccole cascate e traboccamenti naturalistici, con forza e vitalità.

 

Articolo di Elisa Salvati

 

Foto da: wikipedia.org, tripadvisor.com, juzaphoto.com,

 

Il prodigioso crocifisso di San Marcello al Corso

Sapevi che la Chiesa di San Marcello ospita un crocifisso realizzato da un sadico artista?

Una macabra storia narra che nel XIV secolo uno scultore decise di realizzare un crocifisso in legno ma, sentendosi insoddisfatto del risultato finale, escogitò un raccapricciante espediente per dare più realismo all’opera. Come?  Uccise nel sonno un povero carbonaio e ne catturò l’agonia traducendola nella scultura lignea. Con ogni probabilità la leggenda è volta a spiegare l’estremo realismo del volto sofferente di quell’opera, ora visibile nella quarta cappella a destra della chiesa di San Marcello al Corso.

Ma questo non è tutto poiché dal 1519  sono attribuiti a questo crocifisso grandi miracoli e prodigi!

Si narra che nel maggio nello stesso anno la chiesa venne distrutta dalle fiamme e  il crocifisso,  appeso sopra l’altare centrale, fu l’unica opera a rimanere intatta; tre anni più tardi, l’avvento della peste a Roma spinse il papa ad affidarsi al crocifisso  portandolo in processione fino a San Pietro; 16 giorni dopo il contagio terminò.

Chiesa di San Marcello

Chiesa di San Marcello

Roberta Sardo

Foto da: www.abitarearoma.net

 

Il cimitero acattolico di Roma

All’ombra della Piramide Cestia, nel quartiere romano di Testaccio, si trova uno dei luoghi più silenziosi e “poetici” della città. Non un immenso parco, come tanti ce ne sono a Roma, né una grande piazza ricca di fontane zampillanti o di statue e monumenti, bensì un cimitero. Stiamo parlando del cimitero acattolico di Roma, chiamato anche “cimitero degli Inglesi”, o “cimitero dei protestanti” o, ancora, “cimitero degli artisti e dei poeti”; nel quartiere è più noto però come “cimitero del Testaccio”. La poesia che ispira questo luogo è dovuta al fatto che in esso sono sepolti poeti e scrittori del calibro di Shelley e Keats, così come innumerevoli altri artisti tra pittori, scultori, filosofi, attori e così via.

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Nelle culture cattoliche i cimiteri sono posti lugubri perché il momento della morte è visto come qualcosa di estremamente infelice. Nelle culture protestanti, invece, sia il cimitero che la morte sono viste da un prospettiva diversa, tant’è che i cimiteri anglosassoni sono organizzati con ampi prati verdi fra una tomba e l’altra, dove spesso le famiglie dei morti soggiornano per un pomeriggio, magari per fare un pic-nic. Il cimitero acattolico di Roma è un compromesso tra le due concezioni; al suo interno non si può mangiare per rispetto nei confronti del modo in cui i cattolici vedono i luoghi destinati a custodire i morti.

Dal momento che le norme della Chiesa cattolica vietavano di seppellire in terra consacrata i non cattolici, tra cui i protestanti, gli ebrei e gli ortodossi, nonché i suicidi, questi, dopo la morte, venivano “espulsi” dalla comunità cristiana cittadina e venivano inumati fuori dalle mura o al margine estremo delle stesse. Furono gli stessi acattolici a scegliere quei luoghi per le sepolture e ciò gli fu consentito da una deliberazione del Sant’Uffizio che nel 1671 acconsentì che ai “Signori non cattolici” cui toccava di morire in città venisse risparmiata l’onta di trovare sepoltura assieme alle prostitute e ai peccatori. La prima sepoltura di un protestante di cui si abbia notizia fu quella di un seguace del re esule Giacomo Stuart, chiamato William Arthur, che morì a Roma, dove era giunto per sfuggire alle repressioni seguite alle sconfitte dei giacobiti in Scozia.

Come indica il nome ufficiale, il Cimitero acattolico di Roma è destinato all’estremo riposo in generale dei non-cattolici stranieri, senza distinzione di nazionalità. Per lo spazio esiguo a disposizione e per mantenere intatto il carattere del luogo, solo eccezionalmente viene concessa la sepoltura a italiani illustri che, per la cultura alternativa espressa in vita, “straniera” rispetto a quella dominante, per la qualità della loro opera, o per altre circostanze della vita siano stati in qualche modo “stranieri” nel proprio paese. Tra loro, il politico Antonio Gramsci e lo scrittore Dario Bellezza.

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I grandi, centenari cipressi, il prato verde che circonda parte delle tombe, la bianca piramide che svetta dietro la recinzione di mura romane, insieme ai gatti che prendono il sole e passeggiano indisturbati tra le lapidi redatte in tutte le lingue del mondo, conferiscono a questo piccolo cimitero uno stile inimitabile.

 

Articolo di Federica Mancusi

Foto da:

http://www.ilpost.it

romapoint.blogspot.com

 

Il pozzo delle fattucchiere

Sapevi che i Romani credevano nell’esistenza di alcuni luoghi dove più facilmente i vivi entravano in comunicazione con il mondo degli inferi? Piazza Euclide è uno di questi!

Siamo nel 1999 quando in un parcheggio sotterraneo a Piazza Euclide vennero ritrovati i resti di un pozzo del II secolo d.C. dedicato alla divinità Anna Perenna. Se già di per se il ritrovamento fu sorprendente, quello che vi si trovò all’interno lo fu ancora di più; sul fondo del pozzo infatti giacevano 22 piccole placche in piombo dette “tabellae defixionum” ovvero vere e proprie maledizioni con incisioni verbali e simboliche (le scritte riportano il nome della persona a cui sono rivolte ed augurano sciagure di ogni sorta).

Accanto alle tabellae sono state ritrovate anche 14 piccole capsule contenenti delle statuine che possono a ragione essere considerate delle antesignane “bambole voodoo” dell’antica Roma; il pozzo ha restituito anche una grande quantità di monete, segno che la tradizione di gettare denari all’interno di pozzi e fontane ha evidentemente radici piuttosto remote.

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Tabellae defixionum

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Veduta dall’alto di Piazza Euclide

 

 

Roberta Sardo

Foto dawww.bastacartelloni.itwww.volovirtuale.com

La Girandola di Castel Sant’Angelo

Sapevi che  il 29 giugno, in occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo (patroni di Roma), Castel Sant’Angelo diventa il fulcro si uno spettacolo pirotecnico chiamato Girandola?

La tradizione è stata introdotta nel 1481 per volontà di papa Sisto IV  e da questo momento viene utilizzata per celebrare le festività e gli eventi religiosi importanti. I fuochi iniziavano dai torrioni laterale per poi concludersi nella parte centrale della struttura, dove l’edificio è più alto.

Girandola cs

Questo spettacolo, chiamato “La Maraviglia del Tempo”, richiamava spettatori da tutta Europa ed era uno degli eventi più significativi di Roma.

Dal 1861 l’evento non veniva più effettuato, ma da qualche anno a questa parte questa tradizione è stata ripresa. Grazie al supporto di tecnologie all’avanguardia si riproduce l’evento così come era nel corso dei secoli.

Perciò questa sera alle 21:30 potrete godervi questo meraviglioso spettacolo, oggi come 500 anni fa.

La Girandola oggi

La Girandola oggi

 

Articolo di Federica Ponza

Via Giulia: la Strada Sparita di Roma

Esistono cammini senza viaggiatori. Ma vi sono ancor più viaggiatori che non hanno i loro sentieri.

Gustave Flaubert

 

Il posto in cui vogliamo condurvi oggi è proprio un “sentiero” e speriamo che voi, che finora avete deciso di viaggiare con noi e di farvi prendere per mano per essere condotti in negli angoli nascosti di Roma, possiate far vostra questa strada.

Quella di cui vi parleremo non è una strada qualunque, ma è una delle strade più lunghe di Roma.

Parliamo di Via Giulia, una strada di origine medievale lunga circa 1 chilometro e situata  a cavallo fra il  Rione Regola e il Rione Ponte, da Ponte Sisto alla chiesa di San Giovanni dei Fiorentini.

Via Giulia oggi

Via Giulia oggi

Durante il Medioevo questa via veniva chiamata magistralis perché veniva considerata una via maestra, nonostante fosse stretta e fangosa.

Il nome attuale le deriva da papa Giulio II Della Rovere, il quale nel 1508, insieme al Bramante, ha progettato questa via. Inizialmente, quindi, la strada prende il nome di “Strada Julia” e viene pensata come centro finanziario della città. L’idea era quella di costruire un grande palazzo che riunisse le corti giudiziarie sparse per la città in un’unica sede.

Fontana del Mascherone - E. Roesler Franz - 1880 circa

Fontana del Mascherone – E. Roesler Franz – 1880 circa

Inoltre, considerando la vicinanza con il Tevere, l’intento è anche quello di creare una via commerciale che collegasse le varie zone del fiume e smaltisse il traffico commerciale.

Il grande progetto ideato dal pontefice, però, non viene completato e nel 1511 i lavori vengono interrotti.

Ciò che resta del Palazzo dei Tribunali che doveva essere realizzato è solo il suo basamento, una sorta di sedile che il popolo comincia a chiamare “sofà di Via Giulia”.

Sofà di Via Giulia

Sofà di Via Giulia

Con il passare del tempo la strada ospita molti artisti quali ad esempio Raffaello, Cellini e Borromini; quest’ultimi la scelgono come residenza e la via diventa una sorta di Via Margutta (potete leggere il nostro articolo su Via Margutta cliccando qui).

La via subisce un grande sviluppo grazie ad un progetto urbanistico promosso dalla Famiglia Farnese, che inizia con la costruzione dello sfarzoso palazzo della famiglia.

Palazzo Farnese

Palazzo Farnese

Nel 1603 viene costruito l’Arco Farnese, che aveva lo scopo di collegare la terrazza del Palazzo Farnese con le altre costruzioni della famiglia verso il Tevere. In questa zone era situato un grande giardino,  che creava un panorama suggestivo anche grazie alla vicinanza della Fontana del Mascherone, una fontana che si presuppone sia stata  realizzata anch’essa a spese della famiglia.

 

Fontana del Mascherone di Via Giulia

Fontana del Mascherone di Via Giulia

Purtroppo con l’avvento di Roma Capitale e per arginare il fiume Tevere, vengono costruiti i muraglioni sul fiume che dividono la via dal fiume e che servono ad arginare le piene. Questo tipo di decisione, però, ha determinato la distruzione o il ridimensionamento di molti palazzi. I mulini tiberini, i traghetti, le ville sul fiume, tutto questo viene eliminato dal riassetto urbano e la conseguenza è l’isolamento della zona. La strada perde il suo particolare rapporto con il fiume e ne risente soprattutto l’aspetto estetico.

via Giulia - incisione di G. Vasi - 1761

via Giulia – incisione di G. Vasi – 1761

Nonostante tutto la strada rimane una delle più belle e suggestive di Roma. Nel momento in cui vi si entra sembra di essere catapultati indietro nel tempo. Una zona che sembra aver preservato alla perfezione l’elemento storico, anche per il fatto che le strade seguono ancora i percorsi del 1500.

Una strada sospesa a metà, fra passato e presente, che ha il sapore del sogno e che, pur essendo in parte “sparita”, conserva all’interno elementi che richiamano ciò che non c’è più. Ma se decidete di ripercorrerla, vi invitiamo a farlo immaginando di essere in un’altra epoca, donando nuova vita a ciò che non c’è più… se non altro nel vostro cuore.

 

Articolo di Federica Ponza

Le foto da:

Wikipedia

http://www.istantidibellezza.it/

L’altare di Proserpina e Dite e la porta di accesso agli inferi

Sapevi che la chiesa conosciuta come Chiesa Nuova si chiama in realtà Santa Maria in Vallicella? Che origini ha questo nome?

L’antica chiesa settecentesca era chiamata di Vallicella poiché all’origine sorgeva su un fumante avvallamento paludoso di origine vulcanica.

Fin qui nulla di atipico ma, cosa sarebbe la nostra curiosità senza il pepe del mistero? Anche la Chiesa di Santa Maria in Vallicella racchiude infatti tra le sue mura delle leggende!

I Romani credevano che la palude, in prossimità della quale sorgeva la chiesa, fosse la porta di accesso agli inferi e questo non solo per gli effluvi che la palude emanava, ma anche perché  a fine Ottocento venne ritrovato nelle viscere della terra un altare dedicato a Proserpina e Dite, gli Dei Romani degli inferi. La paura che questo luogo suscitava era diffusa, tanto che la popolazione locale per esorcizzarla incise su di una vecchia fontana antistante l’edificio, una scritta ormai malridotta: “Ama Dio e non fallire, fa del bene e lassa dire”. Ancora oggi avvicinandosi a quell’antica fontana è possibile leggere queste parole.

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Chiesa Nuova

 

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La fontana

Roberta Sardo

 

Foto da: laboratorioroma.it