Il mistero dei sotterranei di Via Veneto: il museo degli scheletri

Il 26 giugno 2012, Via Vittorio Veneto, una delle vie più famose e turistiche di Roma, ha aperto le porte ad un nuovo museo della Capitale. Se camminando tra hotel di lusso, rinomati ed eleganti ristoranti e vetrine bellissime vi imbattete nella Chiesa dell’Immacolata Concezione, allora siete nel posto giusto. Il museo di cui vi parlo si trova proprio al suo interno.

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Il Museo dei Cappuccini è un ricchissimo archivio storico che ricostruisce e racconta la vita dei frati che hanno lasciato il segno e che sono stati esemplari all’interno dell’ordine stesso. Per conoscere chi sono i Cappuccini che abitano nel convento di Via Veneto, bisogna tornare indietro nel tempo, al 1525. In quell’anno i Cappuccini si sono separati dal gruppo principale dei Francescani, per vivere in modo più autentico e nel rispetto dello spirito e della Regola di San Francesco: volevano tornare alle origini. Indossavano un paio di sandali senza calze, una tunica con un cappuccio per coprirsi la testa in caso di maltempo, ed è proprio da questo cappuccio che deriva il nome dell’ordine. Vivono tutti insieme in case non troppo grandi e, possibilmente, in mezzo al verde della natura, con un bosco silenzioso che favorisca la preghiera e un piccolo orto per il lavoro.

Il museo dunque, attraverso un apposito percorso di visita, tra ricche opere d’arte, oggetti e paramenti liturgici, antichi manoscritti, permette al visitatore di immergersi nella spiritualità e nella cultura di quest’ordine.

Ma il complesso dell’Immacolata Concezione non è solo la meta per recarsi al museo dei Cappuccini. Al suo interno, nei suoi sotterranei, contiene infatti uno dei luoghi più visitati della Capitale, uno dei posti più macabri e particolari di tutta la Città Eterna: il cosiddetto “museo degli scheletri”, la cripta-ossario decorata con oltre 4000 ossa dei frati, raccolte dal cimitero dei Cappuccini tra il XVII e il XIX secolo.

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Le ossa decorano le cinque cappelle, impreziosiscono le volte fino al soffitto, rendendo assolutamente insolita e lugubre la cripta e rispettando il gusto per il macabro tipico del Barocco. All’interno delle cappelle è possibile osservare anche alcuni corpi ancora interi di frati mummificati con indosso le vesti tipiche dell’Ordine e, secondo la tradizione, la terra che si trova sparsa in più parti della cripta proverrebbe addirittura dalla Terra Santa.

Non è stato un pazzo, come qualcuno potrebbe pensare, a dare l’ordine di addobbare con teschi, mascelle, tibie e peroni le pareti dei sotterranei della chiesa. Questa scelta, infatti, ha in sé un disegno ben preciso ed è quello di voler esorcizzare la morte e di affermare con  assoluta certezza che il corpo è solo un contenitore per qualcosa di più elevato e sublime, l’anima. Dopo la morte, dunque, il corpo vuoto del suo soffio vitale può essere riutilizzato in altro modo, anche a fini artistici, dal momento che al suo interno vi è solamente il nulla.

E voi ci siete mai stati? E se la risposta è no, avreste il coraggio di entrarci?

 

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Articolo di Federica Mancusi

Foto da: guide.supereva.itwww.funweek.itwww.zieak.com

 

L’anomala gestazione di Nerone e l’origine di San Giovanni in Laterano

Sapevi che Nerone si era messo in testa di voler partorire un figlio?

Si narra che la voglia di gestazione colse anche l’imperatore Nerone, il quale chiese ai medici di corte di farlo diventare madre, pena la vita; i medici, impauriti nel trovare una soluzione, diedero all’imperatore una pozione contenente un girino vivo il quale crebbe nello stomaco del sovrano che lo diede alla luce tra i dolori lancinanti di una colica.

La felicità di Nerone era massima tanto che organizzò una parata in onore del nascituro che però in prossimità del Tevere non resistette al forte richiamo dell’acqua e si getto nel fiume; a quel punto l’ira dell’imperatore fu tale da ordinare l’uccisione delle nutrici e dei loro figli.

La leggenda però ha un lieto fine. Pare che il popolo si ribello al suo aguzzino e lo eliminò; l’episodio di liberazione venne suggellato dall’edificazione di un palazzo chiamato Laterano in ricordo della “latitans rana” (rana latitante o fuggita) che scappò alle grinfie dell’imperatore.

 

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Chiesa di San Giovanni in Laterano

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Scultura marmorea del volto di Nerone

Roberta Sardo

Foto da: commons.wikimedia.orgwww.tempi.it

“Non significa nulla se non ha swing”: il jazz che si nasconde nel quartiere Ostiense

Oggi vi prendiamo per mano e vi conduciamo in un posto che sembra non avere nulla da nascondere, uno dei quartieri più conosciuti di Roma: il quartiere Ostiense.

Ma se avete un po’ di pazienza cercheremo di farvi scoprire qualcosa che forse in pochi conoscono e che, in effetti, è per veri intenditori.

Innanzitutto potremmo iniziare dicendovi che il quartiere Ostiense è davvero molto antico, essendo fra i primi nati a Roma intorno nel 1911. La zona inizia a svilupparsi nel 1907 e nasce dalla volontà di creare un quartiere industriale, per questo vengono realizzati il Gazometro, i Mercati Generali, il Porto Fluviale e la Centrale Montemartini.

Queste sono, probabilmente, cose che in molti sanno; e ancora di più sono a conoscenza dell’esistenza della Basilica di San Paolo fuori le mura.

Una domanda lecita potrebbe essere “Ok, ci stai dicendo cose che sappiamo tutti, quando ci dirai qualcosa che potremmo non sapere?”.

Bene. Non vi farò aspettare ancora.

La storia del nostro posto di oggi inizia alla fine degli anni Trenta, quando Arturo Osio, uno dei fondatori della Banca Nazionale del Lavoro, decide di far costruire la propria villa proprio nel quartiere Ostiense, in viale di Porta Ardeatina.

In queste circostanze viene commissionato l’ingegnere Cesare Pascoletti che ha il compito di ristrutturare il casale del ‘600 che si trovava all’interno dell’area.

Villa Osio diventa una residenza elegante e suggestiva, soprattutto quando nel 1939 viene affidato al paesaggista Pietro Porcinai il compito di curare il parco circostante la villa. In questo modo vengono creati una serie di percorsi delimitati dalle piante e che circondano tutto l’edificio. Nella sala da pranzo, invece, si trova un affresco di Piazza Navona ad opera di  Amerigo Bartoli.

Immagine presa da http://www.sovraintendenzaroma.it/i_luoghi/ville_e_parchi_storici/ville_della_borghesia/villa_osio

Villa Osio

 

Le cose cambiano quando negli anni Ottanta la proprietà finisce in mano ad una società controllata dalla Banda della Magliana. Lo stile e il parco della villa vengono alterati e subiscono numerose modifiche, diventando kitsch.

Nel 2001 la villa è stata confiscata e assegnata al comune di Roma. Da questo momento e dopo una serie di provvedimenti diventa un centro adibito ad attività musicali.

Nasce La Casa del Jazz, un luogo multifunzionale che ospita molte attività creative.

Insegna La Casa del Jazz presa da http://www.teatrionline.com/2014/01/i-nuovi-appuntamenti-alla-casa-del-jazz-di-roma/

Insegna La Casa del Jazz

La villa padronale ospita l’auditorium che è utilizzato per organizzare vari tipi di eventi, tra cui lezioni di storia del jazz tenute da esperti, guide all’ascolto, attività didattiche e così via. All’interno del parco, poi, è possibile trovare sale di registrazione e sale prove, locali di ristorazione e zone adibite per permettere agli artisti di risiedere nella struttura; ma anche un archivio audiovisivo, una biblioteca, una libreria.

La Casa del Jazz di sera presa da http://it.omnidreams.net/articles/43476-migliori-jazz-club-di-roma

La Casa del Jazz di sera

 

Un luogo unico in Europa che ospita artisti di fama internazionale e che si pone come obiettivo lo sviluppo e la diffusione del jazz in Italia, un genere musicale che per molti versi rimane ancora per pochi intenditori, anche forse perché è un genere che deve essere capito ancor prima che apprezzato.

La Casa del Jazz ha poi la funzione di essere un luogo di ritrovo e di incontro fra produttori, musicisti, critici e appassionati, ma che si rivolge anche a coloro che sono semplicemente curiosi di accostarsi a questo particolare genere musicale e a tutti i suoi stili.

Ecco dove volevo portarvi. In questo posto così speciale per la sua storia, per la sua struttura, i  suoi paesaggi e per ciò che si propone di realizzare.

Il motto della Casa del Jazz è una frase pronunciata da Duke Ellington, uno dei più grandi compositori e musicisti jazz, nel 1932:

Non significa nulla se non ha swing

Duke Ellington

Duke Ellington

Vi abbiamo voluto portare in questo posto per far sì che ognuno di voi possa trovare e far proprio il suo personale swing, nella speranza che fra i prossimi curiosi che si recheranno in questo posto ci sarete anche voi.

 

Articolo di Federica Ponza

Il giallo di Piazza della Rotonda

Sapevi che a Piazza della Rotonda si trova una lapide marmorea che racconta di come papa Pio VII ripulì il quartiere  dalle “Ignobili Taverne”? Ma cosa faceva di queste taverne un luogo così ignobile?

Le storie che circolano sulla faccenda sono degne di un romanzo giallo e vedono come protagonista una antica macelleria che sorgeva proprio sulla piazza; rinomata per la bontà delle sue carni la macelleria era gestita da due soci che macellavano i loro prodotti nell’angusta cantina sottostante la bottega, cosa questa che non avrebbe destato sospetti se solo non fosse che  molti dei clienti della bottega vi entravano per non uscirne più.

Che sia realtà o finzione la storia crebbe nella fantasia popolare a tal punto da costringere il papa a bonificare il territorio con un intervento di demolizione; la targa non riporta infatti alcun esplicito riferimento ai due macellai ma gli archivi pontifici conservano ancora la loro sentenza di morte.

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Piazza della Rotonda

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Targa marmorea – “Ignobilibus Tabernis”

Roberta Sardo

Foto da: http://www.laboratorioroma.it, http://www.aviewoncities.com

Una volta Hollywood si affacciava sul Tevere: gli Studios di Cinecittà

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L’entrata di Cinecittà

Siamo in pieno Festival di Cannes e quale migliore occasione per raccontarvi i fasti e la magnificenza degli antichi studios di Cinecittà? Le prime produzioni cinematografiche italiane, quelle americane, attrici e attori, la Dolce Vita….ma andiamo con ordine! Proprio quest’anno ricorrono i 77 anni della fondazione di questo piccolo regno di teatri di posa, laboratori di post produzione e sale conferenze, che fin dal 1937 ha visto la realizzazione di oltre 3000 film. E non parliamo di film qualunque: 90 di essi sono stati nominati agli Oscar e circa la metà ha conquistato l’ambita statuetta. Federico Fellini, Francis Ford Coppola, Luchino Visconti e Martin Scorsese: vi dicono niente questi nomi? Fondata durante gli anni del fascismo e luogo di memoria per tutti coloro che vissero il rastrellamento del Quadraro, nel 1944, prima di essere deportati in Germania, gli studios furono trasformati in ricoveri per gli sfollati. A causa di questi fatti si ebbero consistenti perdite dovute sia alla razzia dei tedeschi nel lasciare lo stabilimento, sia agli sfollati che bruciarono gran parte dei documenti archiviati per scaldarsi durante i bombardamenti. Con la fine della guerra e la ricostruzione anche gli studios ebbero nuova vita. Gli anni Cinquanta segnarono l’esplosione di Cinecittà: gli americani si accorsero del suo potenziale: risale al 1951 il Quo Vadis? di Mervyn LeRoy, al 1959 il Ben Hur di William Wyler, tutti film del genere peplum e soprannominati “sandaloni” dalla manovalanza locale. Tale boom ebbe origine dalla competitività economica degli studi romani, complice anche un’apposita legge che non consentiva ai produttori stranieri di esportare i guadagni realizzati in Italia, obbligandoli di fatto a reinvestire in loco. È da qui che Cinecittà comincia ad essere conosciuta come l’”Hollywood sul Tevere”. Nel corso dei successivi due decenni furono girati una quarantina di film americani, che hanno contribuito a rendere ancora più magnificente Cinecittà e il suo soprannome: a esso è associata tradizionalmente l’immagine di opere grandiose di soggetto storico, con enormi budget, scenografie imponenti e migliaia di comparse. Il successo delle produzioni americane introdusse nella società romana degli anni Cinquanta, piuttosto provinciale, mediamente sonnolenta e discretamente ipocrita, fenomeni di sociologia e mondanità “moderne” quali il divismo, i parties,  i “paparazzi“, i night club. Proprio La dolce vita felliniana, con protagonista Marcello Mastroianni, è il film simbolo di questa evoluzione. Il mito di Cinecittà non conosce battute d’arresto, è una sorta di Eldorado, è essa stessa una sorta di personaggio: basti ricordare Bellissima, di Luchino Visconti, e Roma, di Fellini. L’Italia stessa, compresa Roma, diventa un set a cielo aperto: quanti di voi non hanno immaginato di percorrere le vie della città eterna in Vespa come fanno Audrey Hepburn e Gregory Peck in Vacanze Romane? O di incontrare l’amore come le tre segretarie americane di Tre Soldi Nella Fontana?

Audrey Hepburn e Gregory Peck in "Vacanze Romane" di William Wyler

Audrey Hepburn e Gregory Peck in “Vacanze Romane” di William Wyler

L’industria cinematografica, non solo grazie ai contributi americani, ma anche francesi e spagnoli, ebbe in quegli anni una discreta rilevanza economica per la città. Roma era ancora abbastanza raccolta, non superava di molto il milione di abitanti. Gli studios generarono un ampio indotto legato sia alle produzioni che alla commercializzazione dei film, fatto di comparse, artigiani, operai, tecnici, impiegati, impresari, imprenditori e produttori avventurosi, palazzinari golosi di mondanità, artisti a caccia di occasioni, tutto quello che si chiamò, per anni, il “generone” romano. Ma la fine degli anni Sessanta segnò anche la fine dell’Hollywood all’italiana: con lo sviluppo della televisione, la fine delle produzioni kolossal di carattere storico e la parallela crisi dell’industria cinematografica italiana, Cinecittà perse lentamente, per più di una ventina d’anni, il primato tecnico e produttivo che l’aveva resa mitica. Nonostante tali problemi, si realizzarono ancora alcune opere d’autore di grande impegno, come Ludwig di Visconti, Novecento di Bernardo Bertolucci, Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini, C’era una volta in America di Leone; eppure Fellini sembrava l’unico a credere nell’avvenire degli studios romani: non solo vi girò tra gli anni Settanta e Ottanta tutti i suoi film, da Amarcord a E la nave va, ma con Intervista le dedicò un ultimo e malinconico omaggio. Nel 1983 giunse a scadenza il vincolo di esproprio sui 60 ettari di Cinecittà; il valore dell’area passò così da zero a 100 miliardi di lire: ne furono subito venduti 20 ettari, sui quali fu edificato un grande centro commerciale. Con i circa 30 miliardi di lire incassati si colmò il deficit pregresso e si ottennero alcuni anni di autonomia finanziaria, che si concretizzò in un temporaneo aumento dei film realizzati, e nel ritorno di alcune grandi produzioni, come L’ultimo imperatore di Bertolucci. Ma un nuovo calo si verificò dal 1987. La via d’uscita fu trovata all’inizio degli anni Novanta nell’apertura alla produzione televisiva, pur mantenendo quella cinematografica, e nell’ingresso delle nuove tecnologie digitali; tali innovazioni vennero rese possibili da una quarta e più radicale ristrutturazione, che quadruplicò la cubatura degli edifici e fece passare i teatri di posa da 12 a 22. Nel corso del decennio la crisi è stata superata. L’estensione e la modernizzazione degli impianti hanno permesso anche il ritorno dei film statunitensi, per la prima volta dopo vent’anni: dal 1989 ne sono stati girati 12, tra cui alcuni kolossal, come Il padrino parte III di Francis F. Coppola, Il paziente inglese di Anthony Minghella, fino alla lavorazione di Gangs of New York, nel 2002, di Martin Scorsese, che con le sue immense scenografie è sembrato poter rinverdire i fasti della Cinecittà di una volta.

Un angolo di America a Cinecittà

Un angolo di America a Cinecittà

Non ci sono parole migliori di quelle di Fellini per concludere il viaggio a ritroso nel tempo di Cinecittà:

“L’hanno definita la fabbrica dei sogni: un po’ banale, ma anche vero. È un posto che dovrebbe essere guardato con rispetto, perché al di là di quel recinto di mura ci sono artisti dotati e ispirati che sognano per noi. Per me è il posto ideale, il vuoto cosmico prima del big bang”.

Arredo di scena de "Il Casanova" di Federico Fellini, oggi posto all'entrata di Cinecittà

Arredo di scena de “Il Casanova” di Federico Fellini, oggi posto all’entrata di Cinecittà

 

Articolo di Elisa Salvati

 

Foto da: http://www.sindacatospettacolo.it; wikipedia.it; http://www.mymovies.it

 

 

Il sepolcro del primo re

Sapevi che tra Castel Sant’Angelo e via della Conciliazione si dice sorgesse una piramide denominata “Sepulcrum Romuli”?

La suggestiva costruzione  ornò questo angolo della città fino al XV secolo fino a quando papa Alessandro VI la fece demolire in occasione del giubileo del 1500.

Molti testi e dipinti antichi ne fanno mansione, ma nessun reperto riconducibile alla tomba del primo re di Roma è stata mai trovata; tuttavia,  in occasione dei lavori legati alla costruzione del sottopasso che dal palazzo di Giustizia doveva congiungersi con l’odierno sottopasso, i lavori vennero bloccati per la presenza di importanti reperti antichi tra i quali proprio i resti della tomba di Romolo.

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Pianta della città del Vaticano

 

 

Roberta Sardo

Foto da: www.skyscrapercity.com

La magnificienza classica d’una famiglia nobile romana: Villa Doria Pamphilj

La magnificenza classica, l’indispensabile arredo, direi, d’una famiglia nobile romana era la villa”[…] “la villa che doveva stendersi per molto spazio di terreno, coprirsi di ombre, suonare d’acque, ridere di giardini, splendere di palagi dove prima era l’umile vigneto”[…] “… non poteva bastare un boschetto a difendere dai raggi ardenti dei sole una piccola comitiva, ma era mestieri una larga sala o una lunghissima via di folti alberi a raccogliere le schiere di magnati, di porporati, di dame che, o dovevano passeggiarvi o raccogliervisi a colloqui or gravi or rumorosi, o esilararsi nei giochi frivoli e concettuosi dei tempo.

Ignazio Ciampi

Come scriveva nel 1878 l’illustre storico e letterato Ignazio Ciampi : “La magnificenza classica, l’indispensabile arredo, direi, d’una famiglia nobile romana era la villa”. Una villa circondata da immensi giardini, miriadi di fiori, viali alberati, fontane zampillanti e romantiche rive di laghi. Una sorta di reame incantato. E in effetti entrando a Villa Doria Pamphilj ci si aspetterebbe che, da un momento all’altro, carrozze, dame e gentiluomini ci passino a fianco come se nulla fosse.

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Villa Doria Pamphilj

Con i suoi 184 ettari di estensione, Villa Doria Pamphilj è una delle più importanti e ampie ville storiche di Roma. Ingrandita nel tempo grazie alle continue acquisizioni di terreni fra loro confinanti, essa conserva numerose tracce delle trasformazioni susseguitesi dal Seicento all’Ottocento. Residenza di campagna della famiglia Pamphilj, sotto il pontificato di Innocenzo X (1644-1655) assunse l’aspetto di una lussuosa residenza nobiliare di campagna.

Pur avendo sulle spalle qualche centinaio di anni, Villa Pamphilj è una tra le ville meglio conservate. L’unica manomissione si deve all’apertura, avvenuta nel 1960 in occasione delle Olimpiadi, della via Olimpica (via Leone XIII) che ha diviso in due l’antica tenuta. Ma nonostante ciò, la magnificenza dei suoi edifici e dei suoi giardini hanno fatto sì che venisse scelta come sede di rappresentanza del Governo Italiano.

L’ingresso attuale della villa nasce dalla fusione, nella seconda metà dell’800, fra l’originale Villa Pamphilj e Villa Corsini, ma originariamente l’ingresso principale era quello posto in corrispondenza della Porta S. Pancrazio, che costituiva l’accesso a Roma dalla consolare Aurelia.

Sul piazzale dopo la pineta troviamo la Palazzina Corsini, edificio settecentesco rimaneggiato tra il 1866 e il 1869, che oggi ospita la Casa dei Teatri, due biblioteche e spazi espositivi. La Palazzina si affaccia sulla Valle dei Daini, un’area si 60.000 mq nota con questo nome perché un tempo era abitata da daini in libertà. La Valle dei Daini, oggi un immenso bosco di piante intricate e ingarbugliate tra loro, è importante anche per le testimonianze geologiche che offre: in alcuni punti sono affiorati depositi caratterizzati da strati successivi di fasi vulcaniche e di fasi sedimentarie, tra i quali si possono osservare le sabbie dorate che diedero alla zona l’antico nome di “Monte d’Oro”, oggi trasformato in Monteverde.

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Giardini di Villa Doria Pamphilj

Lungo il Viale del Maglio si giunge al Casino del Bel Respiro, anticamente detto anche Palazzo delle Statue. L’edificio barocco, realizzato dallo scultore Alessandro Algardi e dal pittore Giovanni Francesco Grimaldi, è caratterizzato da una mostra di sculture ed è prezioso per i suoi Giardini Segreti. Il Giardino del Teatro, costruito tra il 1644 e il 1652, costituisce la parte più importante di Villa Pamphilj. Esso ospita due importanti e pregevoli statue: quella della Fontana del Fauro e quella della Fontana della Venere. Proseguendo sulla sinistra si trova la cappella Doria Pamphilj in stile neogotico, e la Fontana del Giglio.

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Cappella Doria Pamphilj

Sulla via Aurelia Antica, al civico 183, è collocata la Villa Vecchia, la costruzione più antica della villa, realizzata sfruttando i resti dell’Acquedotto Traiano-Paolo. Alle sue spalle vi è il giardino della Villa Vecchia, trasformato oggi in un giardino all’italiana.

Il settore occidentale di Villa Doria Pamphilj è, invece, interessante per le importanti testimonianze funerarie di età romana, tra le quali spicca il Casale Giovio.

All’interno del parco c’è inoltre un corso d’acqua che giunge in un lago con un’isola al centro, habitat naturale di numerose specie animali.

Insomma, un angolo di “storico” paradiso.

 

Articolo di Federica Mancusi

 

Foto da: it.wikipedia.org; http://www.minube.it; http://www.portofrome.it

La colonna degli spiritati

Sapevi che una misteriosa colonna si nasconde a San Pietro a pochi metri dalla Pietà di Michelangelo?

La colonna, denominata dal popolo “colonna degli ossessi” o meglio ancora “colonna degli spiritati”, proverrebbe dal  tempio di Salomone in Gerusalemme e sarebbe una delle colonne a cui Gesù si accostava durante le prediche nel tempio.

Ma come mai una colonna dalle radici “sante” viene ricordata come “colonna degli spiritati”?

Per dare una risposta a questa domanda occorre tornare indietro nei secoli bui del Medioevo, quando sulla colonna santa venivano legati gli indemoniati per scacciare gli spiriti maligni che li possedevano; i più superstiziosi pensano che quei demoni aleggino ancora senza pace attorno alla colonna, e sostengono che prima di farvi visita sia meglio farsi il segno della croce.

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La colonna degli spiritati

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Pianta della basilica di San Pietro

Roberta Sardo

Foto da: www.romanoimpero.com

L’Antico Caffè Greco: luogo di musica, letteratura ed arte

Dentro Roma c’è un caffè …

un caffè tutto speciale.

Non lo fo per dirne male;

dico solo quel che è.

Qui trovi americani,

gran milordi, signoroni,

grandi artisti, artisti cani.

Augusto Jandolo

 

Oggi abbiamo deciso di portarvi a passeggio in una delle vie più famose di Roma: via Condotti.

Di solito, quando si pensa a questa via, vengono in mente le fastose vetrine di alta moda, al cui interno sono esposti capi e borse costosissime e griffate. Ma queste sono cose che ogni turista, abitante o frequentatore di Roma probabilmente sa.

La cosa che, forse, pochi sanno è che via Condotti non è solo moda e vetrine, è anche storia e cultura.

Storia e cultura che risiedono nel più antico caffè di Roma (secondo in Italia, dopo il Florian di Venezia); stiamo parlando dell’Antico Caffè Greco fondato nel 1760 da Nicola della Maddalena, caffettiere di origine greca.

Nel corso del XIX secolo il Caffè diviene il punto di ritrovo di molti artisti ed intellettuali dell’epoca. Inizialmente a popolarlo sono i tedeschi, fra i quali ricordiamo Wolfgang Goethe.

Dal sito della Pro Loco di Roma

Incontro letterario – Dal sito della Pro Loco di Roma

In breve, però, il Caffè Greco assume una rilevanza ed una fama internazionale ed inizia ad essere frequentato da alcune delle più grandi ed importanti personalità artistiche, culturali e politiche di quel periodo, sia italiani che stranieri.

Ecco che allora, entrando in questo Caffè, avremmo potuto incontrare grandi scrittori stranieri come Mark Twain, Hans Christian Andersen, George Byron, Percy B. Shelley, magari seduti ad un tavolo a bere un caffè mentre pensavano alla loro prossima opera letteraria.

Ma non sarebbero mancati anche letterati italiani come Gabriele D’Annunzio, Giacomo Leopardi, Ennio Flaiano o Pier Paolo Pasolini. Fra i suoi tavoli avremmo potuto anche trovare filosofi come Arthur Schopenhauer o artisti come Antonio Canova e Anselm Feuerbach.

Varcando la porta di questo ritrovo delle più grandi menti dei secoli scorsi si potevano incontrare anche alcuni fra i più grandi musicisti della storia quali ad esempio Gioacchino Rossini o Arturo Toscanini, Richard Wagner o George Bizet.

Fra i musicisti più recenti possiamo ricordare che la Sala Rossa del Caffè è ritratta sulla copertina del 45 giri “Minuetto/Tu sei così” di Mia Martina.

 

Minuetto

Copertina 45 giri “Minuetto/Tu sei così”, 1973

Insomma la lista dei frequentatori di questo Caffè è veramente lunga e variegata. Sarebbe impossibile ricordarli tutti.

Interessante è anche ricordare che l’Antico Caffè greco ospita più di 300 opere d’arte nelle sue sale ed è la più grande galleria d’arte privata aperta al pubblico esistente al mondo.

Antico Caffè Greco - Interno Dal sito della Pro Loco di Roma

Antico Caffè Greco – Interno
Dal sito della Pro Loco di Roma

Diversi sono, poi, gli aneddoti che riguardano questo affascinante e suggestivo luogo, come quello che narra che un giorno Henry Beyle ( al secolo Stendhal) si recò appositamente al Caffè per incontrare un suo presunto sosia, ossia il pittore Stefano Forby. Stendhal rimase deluso dal constatare che quest’ultimo era piuttosto brutto.

Il fascino di questo posto è quello tipico di un luogo in cui, nel corso dei secoli, si sono recati intellettuali e artisti che con le loro opere e con il loro pensiero hanno cambiato la storia dell’umanità.

Mi piace immaginare che alcune delle loro brillanti idee o opere possano essere state pensate proprio in questo luogo, fra un caffè e l’altro, anche grazie al confronto e alla discussione con altre menti brillanti.

Chiudo gli occhi e vedo Gioacchino Rossini che davanti ad un caffè pensava a come completare Il Barbiere di Siviglia o La Cenerentola; o magari a Pier Paolo Pasolini che appuntava alcuni brani de Il sogno di una cosa su un foglio di carta proprio seduto ad uno dei tavoli di questo Caffè. Vedo Ennio Flaiano che magari rifletteva su quelle idee che l’hanno portato a scrivere La Vita Agra o a Antonio Canova che scolpiva mentalmente Amore e Psiche mentre fissava le pareti di questo luogo.

Immagino tutto ciò e mi dico che probabilmente è solo frutto della mia fantasia… o forse no.

Articolo di Federica Ponza

Antico Caffè Greco – Oggi

 

 

 

Il gioco della battaglia navale ai tempi di Giulio Cesare

Sapevi che nel 46 a.C. a Campo Marzio si tennero le prime “neumachie”?

Le neumachie erano eventi spettacolari che riproducevano battaglie navali all’interno di bacini artificiali costruiti appositamente per l’evento.

Le battaglie navali più spettacolari furono realizzate da Augusto nel 2 d.C. nell’odierno rione di Trastevere (non si sa esattamente dove); per inscenare la battaglia di Salamina tra ateniesi e persiani l’imperatore face costruire un bacino munito di isola centrale (profondo 2 m e largo 1,5 km) e gradinate per gli spettatori, e impiegò una flotta di 30 triremi in tutto.

Le navi, che arrivavano in loco grazie a canali artificiali che collegavano il Tevere al bacino artificiale, mettevano in atto combattimenti spettacolari e sanguinosi, di cui non si hanno resti archeologici ma solo racconti.

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Raffigurazione di uno scontro tra imbarcazioni

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Veduta dall’alto del bacino artificiale costruito per l’evento

Roberta Sardo

Foto da: histoireoccidentale.wordpress.com, it.wikipedia.org