Oggi Roma In Punta di Piedi ha scelto di raccontarvi uno dei posti più suggestivi e pregni di storia e tradizioni come solo un luogo della città eterna sa essere. Il Ghetto ebraico romano è uno dei più antichi in Italia, secondo per nascita solamente a quello di Venezia, dal cui dialetto deriva il nome gheto, fonderia, in cui gli ebrei furono costretti a risiedere. La nascita del Ghetto romano risale al 1555, quando papa Paolo VI, con la bolla Cum nimis absurdum, revocò tutti i diritti concessi agli ebrei romani ed ordinò la sua istituzione, chiamandolo “serraglio degli ebrei”. Il Ghetto sorge nel rione Sant’Angelo accanto al teatro di Marcello, zona da sempre abitata dalla comunità ebraica. Oltre all’obbligo di risiedere all’interno del ghetto, gli ebrei dovevano portare un distintivo che li rendesse riconoscibili e veniva loro proibito di esercitare qualunque commercio ad eccezione di quello degli stracci e dei vestiti usati. Da tale eccezione ebbe successivamente origine una tradizionale presenza nel campo del commercio dell’abbigliamento e di alcuni dei suoi accessori. Nella stessa bolla era loro proibito di possedere beni immobili e ciò contribuì a rivolgersi verso i beni mobili per eccellenza: l’oro e il denaro. La proibizione al possesso dei beni immobili da parte degli occupanti diminuì la cura per gli immobili stessi. Per questo motivo le case del ghetto erano particolarmente degradate. Le case erano alte a causa della forte densità abitativa e, poiché il ghetto era a ridosso del Tevere, a causa del fango, le facciate assumevano una colorazione a livelli che corrispondeva alla cronologia delle ultime piene. Nel corso del tempo, e con l’avvicendarsi dei papi, la condizione degli ebrei migliorò, sia perché alcune restrizioni vennero revocate, sia perché il quartiere fu ampliato. Anche le vicende della rivoluzione francese e le conquiste napoleoniche ebbero un effetto positivo sulla popolazione. Infatti, proclamata la Prima Repubblica Romana, gli ebrei acquisirono la parità dei diritti e piena cittadinanza. Le bizze dei Papi finirono solo dopo il 20 settembre 1870 quando Roma venne annessa al Regno d’Italia. Ciò determinò la fine del potere temporale dei papi, il ghetto fu definitivamente abolito e gli ebrei equiparati agli altri cittadini italiani.Nel 1888, con l’attuazione del nuovo piano regolatore della capitale, buona parte delle antiche stradine e dei vecchi edifici del ghetto, malsani e privi di servizi igienici, furono demoliti creando così tre nuove strade: via del Portico d’Ottavia, via Catalana e via del Tempio. Sono scomparsi in questo modo interi piccoli isolati e strade che costituivano il vecchio tessuto urbano del rione, sostituiti da ampi spazi e quattro nuovi isolati più ordinati ma anche meno caratteristici. Per avere un’idea di come doveva apparire il vecchio ghetto basta osservare la fila di palazzi che si trovano sul lato di via del Portico d’Ottavia, accanto a ciò che rimane dell’antico complesso augusteo. In seguito ad un concorso indetto per la costruzione della nuova sinagoga, nel 1899 venne scelto il progetto degli architetti Osvaldo Armanni e Vincenzo Costa, ispirato a motivi assiro-babilonesi e dell’Art Nouveau.
I lavori 1901 terminarono nel 1904 ed il 29 luglio dello stesso anno il Tempio Maggiore di Roma fu inaugurato. Ancora oggi la Sinagoga non presenta immagini ma simboli; le numerose scritte in ebraico sono quasi tutte tratte dalla Scrittura e contribuiscono a esaltare la sua sacralità. Sul lato sinistro della facciata si scorgono ancora le cicatrici lasciate dall’attentato compiuto dall’OLP il 9 ottobre 1982, che causò il ferimento di 40 persone e la morte del piccolo Stefano Tachè. Questa è la seconda pagina più triste nella storia del ghetto dopo quelladatata 16 ottobre 1934 quando i nazisti catturarono circa 1022 ebrei. Deportati ad Auschwitz, soltanto 17 sopravvivranno, tra questi Settimia Spizzichino, alla quale, nel 2012, è stato dedicato il ponte sulla ferrovia nel quartiere ostiense. Oggi, sebbene molti membri della comunità ebraica vivano in altri quartieri, il ghetto è considerato un luogo di incontro in occasioni speciali, religiose e di commemorazione. Le tradizioni sono tenute in vita dalla cucina giudaico-romanesca, che fonde piatti tipici ebraici con i classici della cucina romana. Un altro aspetto tipico del ghetto, ma che in parte è andato perduto, è il dialetto, un misto tra giudaico e classico romano, ricco di numerosi vocaboli ebraici. In qualche occasione, tra i piccoli vicoli del ghetto è ancora possibile sentirlo, grazie anche ad iniziative culturali come le opere teatrali di Alberto Pavoncello e le poesie di Crescenzo Del Monte, unico poeta giudaico-romanesco. Dal Cinquecento ad oggi, il ghetto è cambiato, stravolto anche nella sua topografia. Al centro delle pagine più tristi della storia d’Italia e mondiale, ha saputo, nel corso del tempo, non perdere la sua identità, mantenendo vive le tradizioni ebraiche e reiventarsi sempre. Ecco perché oggi è uno dei luoghi più suggestivi della città.
Articolo di Elisa Salvati
Foto da: http://www.visiteguidaroma.it