La Girandola di Castel Sant’Angelo

Sapevi che  il 29 giugno, in occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo (patroni di Roma), Castel Sant’Angelo diventa il fulcro si uno spettacolo pirotecnico chiamato Girandola?

La tradizione è stata introdotta nel 1481 per volontà di papa Sisto IV  e da questo momento viene utilizzata per celebrare le festività e gli eventi religiosi importanti. I fuochi iniziavano dai torrioni laterale per poi concludersi nella parte centrale della struttura, dove l’edificio è più alto.

Girandola cs

Questo spettacolo, chiamato “La Maraviglia del Tempo”, richiamava spettatori da tutta Europa ed era uno degli eventi più significativi di Roma.

Dal 1861 l’evento non veniva più effettuato, ma da qualche anno a questa parte questa tradizione è stata ripresa. Grazie al supporto di tecnologie all’avanguardia si riproduce l’evento così come era nel corso dei secoli.

Perciò questa sera alle 21:30 potrete godervi questo meraviglioso spettacolo, oggi come 500 anni fa.

La Girandola oggi

La Girandola oggi

 

Articolo di Federica Ponza

Via Giulia: la Strada Sparita di Roma

Esistono cammini senza viaggiatori. Ma vi sono ancor più viaggiatori che non hanno i loro sentieri.

Gustave Flaubert

 

Il posto in cui vogliamo condurvi oggi è proprio un “sentiero” e speriamo che voi, che finora avete deciso di viaggiare con noi e di farvi prendere per mano per essere condotti in negli angoli nascosti di Roma, possiate far vostra questa strada.

Quella di cui vi parleremo non è una strada qualunque, ma è una delle strade più lunghe di Roma.

Parliamo di Via Giulia, una strada di origine medievale lunga circa 1 chilometro e situata  a cavallo fra il  Rione Regola e il Rione Ponte, da Ponte Sisto alla chiesa di San Giovanni dei Fiorentini.

Via Giulia oggi

Via Giulia oggi

Durante il Medioevo questa via veniva chiamata magistralis perché veniva considerata una via maestra, nonostante fosse stretta e fangosa.

Il nome attuale le deriva da papa Giulio II Della Rovere, il quale nel 1508, insieme al Bramante, ha progettato questa via. Inizialmente, quindi, la strada prende il nome di “Strada Julia” e viene pensata come centro finanziario della città. L’idea era quella di costruire un grande palazzo che riunisse le corti giudiziarie sparse per la città in un’unica sede.

Fontana del Mascherone - E. Roesler Franz - 1880 circa

Fontana del Mascherone – E. Roesler Franz – 1880 circa

Inoltre, considerando la vicinanza con il Tevere, l’intento è anche quello di creare una via commerciale che collegasse le varie zone del fiume e smaltisse il traffico commerciale.

Il grande progetto ideato dal pontefice, però, non viene completato e nel 1511 i lavori vengono interrotti.

Ciò che resta del Palazzo dei Tribunali che doveva essere realizzato è solo il suo basamento, una sorta di sedile che il popolo comincia a chiamare “sofà di Via Giulia”.

Sofà di Via Giulia

Sofà di Via Giulia

Con il passare del tempo la strada ospita molti artisti quali ad esempio Raffaello, Cellini e Borromini; quest’ultimi la scelgono come residenza e la via diventa una sorta di Via Margutta (potete leggere il nostro articolo su Via Margutta cliccando qui).

La via subisce un grande sviluppo grazie ad un progetto urbanistico promosso dalla Famiglia Farnese, che inizia con la costruzione dello sfarzoso palazzo della famiglia.

Palazzo Farnese

Palazzo Farnese

Nel 1603 viene costruito l’Arco Farnese, che aveva lo scopo di collegare la terrazza del Palazzo Farnese con le altre costruzioni della famiglia verso il Tevere. In questa zone era situato un grande giardino,  che creava un panorama suggestivo anche grazie alla vicinanza della Fontana del Mascherone, una fontana che si presuppone sia stata  realizzata anch’essa a spese della famiglia.

 

Fontana del Mascherone di Via Giulia

Fontana del Mascherone di Via Giulia

Purtroppo con l’avvento di Roma Capitale e per arginare il fiume Tevere, vengono costruiti i muraglioni sul fiume che dividono la via dal fiume e che servono ad arginare le piene. Questo tipo di decisione, però, ha determinato la distruzione o il ridimensionamento di molti palazzi. I mulini tiberini, i traghetti, le ville sul fiume, tutto questo viene eliminato dal riassetto urbano e la conseguenza è l’isolamento della zona. La strada perde il suo particolare rapporto con il fiume e ne risente soprattutto l’aspetto estetico.

via Giulia - incisione di G. Vasi - 1761

via Giulia – incisione di G. Vasi – 1761

Nonostante tutto la strada rimane una delle più belle e suggestive di Roma. Nel momento in cui vi si entra sembra di essere catapultati indietro nel tempo. Una zona che sembra aver preservato alla perfezione l’elemento storico, anche per il fatto che le strade seguono ancora i percorsi del 1500.

Una strada sospesa a metà, fra passato e presente, che ha il sapore del sogno e che, pur essendo in parte “sparita”, conserva all’interno elementi che richiamano ciò che non c’è più. Ma se decidete di ripercorrerla, vi invitiamo a farlo immaginando di essere in un’altra epoca, donando nuova vita a ciò che non c’è più… se non altro nel vostro cuore.

 

Articolo di Federica Ponza

Le foto da:

Wikipedia

http://www.istantidibellezza.it/

L’altare di Proserpina e Dite e la porta di accesso agli inferi

Sapevi che la chiesa conosciuta come Chiesa Nuova si chiama in realtà Santa Maria in Vallicella? Che origini ha questo nome?

L’antica chiesa settecentesca era chiamata di Vallicella poiché all’origine sorgeva su un fumante avvallamento paludoso di origine vulcanica.

Fin qui nulla di atipico ma, cosa sarebbe la nostra curiosità senza il pepe del mistero? Anche la Chiesa di Santa Maria in Vallicella racchiude infatti tra le sue mura delle leggende!

I Romani credevano che la palude, in prossimità della quale sorgeva la chiesa, fosse la porta di accesso agli inferi e questo non solo per gli effluvi che la palude emanava, ma anche perché  a fine Ottocento venne ritrovato nelle viscere della terra un altare dedicato a Proserpina e Dite, gli Dei Romani degli inferi. La paura che questo luogo suscitava era diffusa, tanto che la popolazione locale per esorcizzarla incise su di una vecchia fontana antistante l’edificio, una scritta ormai malridotta: “Ama Dio e non fallire, fa del bene e lassa dire”. Ancora oggi avvicinandosi a quell’antica fontana è possibile leggere queste parole.

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Chiesa Nuova

 

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La fontana

Roberta Sardo

 

Foto da: laboratorioroma.it

E voi, avete mai sentito una statua parlare?

Pasquino, Marforio, il Facchino, Madama Lucrezia, il Babuino, l’Abate Luigi…no, tranquilli, non stiamo dando nomi a caso! Vogliamo solamente riportavi alla memoria le statue parlanti di Roma. Non ne avete mai sentito parlare? Ottimo! Oggi Roma In Punta di Piedi vi porta nel XVI secolo e vi racconta la loro storia.

Quando il Papa governava Roma, i potenti tremavano al solo pensiero della lingua tagliente di queste statue. Erano, infatti, delle vere e proprie armi capaci di opporsi all’arroganza e alla corruzione delle classi dominanti, con senso dell’umorismo e grande umorismo.

Ma come è nata la loro leggenda? Semplicemente appendendo dei cartelli satirici durante la notte presso di loro, collocate ancora oggi, in posti molto frequentati della città. Ogni mattina chiunque poteva leggerli, o farseli leggere visto l’alto numero di analfabeti all’epoca, prima che le guardie li rimuovessero . Ben presto le sei statue, come tradizione conta, presero il nome collettivo di “Il Congresso degli Arguti”.

I cartelli affrontavano vari temi in latino o dialetto, potevano recitare poesie, ma il più delle volte erano di tipo umoristico e satirico e il bersaglio principale era il Papa. Gli autori sono sempre rimasti ignoti al popolo, ma ai sei personaggi che parlavano in loro vece sono stati dati dei soprannomi.

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La statua di Pasquino

La statua parlante più famosa è quella di Pasquino, nelle vicinanze di Piazza Navona. Leggenda vuole che sia stata rinvenuta presso la bottega di un barbiere, o di un’osteria, secondo un’altra versione, il cui proprietario si chiamava proprio Pasquino. La sua popolarità ha fatto sì che le burle scritte sui cartelli prendessero il nome di “pasquinate”. Odiatissimo dai papi, ne ebbe a dire una per tutti!

Una della pasquinate più celebri riguarda Urbano VIII della famiglia Barberini, che ordinò a Bernini di rimuovere le parti bronzee del Pantheon affinché potessero essere utilizzate per realizzare il baldacchino nella Basilica di San Pietro: “Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”, recitò Pasquino. All’approssimarsi della morte di Clemente XI, invece, Pasquino sentenziò: “Dacci un papa miglior, Spirito Santo, che ci ami, tema Dio, né campi tanto”.

Marforio era la spalla di Pasquino. Infatti, in alcune satire, le due statue dialogano fra loro come accadde durante l’occupazione francese e la razzia di tesori da parte di Napoleone:

Marforio domanda: “E’ vero che i Francesi sono tutti ladri?

E Pasquino: “Tutti no, ma Bona Parte”.

Fra le statue parlanti meno conosciute troviamo il Facchino, Madama Lucrezia, il Babuino e l’Abate Luigi il cui epitaffio recita:

Fui dell’antica Roma un cittadino

Ora Abate Luigi ognun mi chiama

Conquistai con Marforio e con Pasquino

Nelle satire urbane eterna fama

Ebbi offese, disgrazie e sepoltura

Ma qui vita novella e alfin sicura”.

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L’Abate Luigi

 

Oggi solo Pasquino sembra essere sempre pronto a dialogare con il popolo, non si lascia sfuggire l’occasione di graffiare umoristicamente e satiricamente chi detiene il potere! L’usanza è ancora quella di non firmare i suoi versi e i passanti non aspettano altro che leggere i suoi commenti più taglienti…

 

Articolo di Elisa Salvati

 

Foto da: wikipedia.org.

 

La “Forma Urbis” e il backup ante litteram

Sapevi che in via dei Fori imperiali, alla destra della basilica dei Santi Cosma e Damiano, si trovava una gigantesca mappa di Roma antica?

Oggi di questa mappa non resta che un muro bucherellato, ma nel 200 d.C. lì era stata costruita una “Forma Urbis”, alta ben tredici metri e lunga diciotto suddivisa in circa centocinquanta tasselli applicati sul muro per mezzo di perni (ecco spiegati i buchi che vediamo oggi).

La mappa serviva, probabilmente, come archivio catastale delle proprietà e dei confini di Roma; certo la consultazione, come anche l’eventuale modifica, era alquanto complessa visto che le informazioni erano incise sul marmo, per questo motivo si crede che ne esistesse una copia su papiro e che la versione in marmo funzionasse come un backup ante litteram in caso di danneggiamenti della versione su papiro.

Ad oggi  di tutti quei tasselli ce ne pervengono solo 1189, i rimanenti sono oggetto di ricerca di appassionati archeologi.

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Fori Imperiali

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Un tassello della “Forma Urbis”

Roberta Sardo

Foto da: www.shakespeareinitaly.it www.info.roma.it

La Gatta di Palazzo Grazioli

Verso la metà dell’Ottocento fu costruita la facciata posteriore di Palazzo Grazioli, palazzo conosciutissimo a Roma, per ovvie ragioni, e venne aperta la piazza che dal palazzo prende il nome. Qualcuno pensò così di collocare sul primo cornicione dell’edificio una piccola gatta marmorea, rinvenuta nell’antico Tempio di Iside, dai cui resti, nel corso dei secoli, erano già stati prelevati tanti altri frammenti, statue e obelischi.

Fu collocata proprio lì, dunque, sull’angolo del cornicione di Palazzo Grazioli, questa piccola gatta di marmo, e la via su cui posa il suo sguardo si chiama da allora, per questo motivo, Via della Gatta. Oltre alla via, un tempo la gatta dava il nome anche alla suddetta piazza, prima che il duca Grazioli vi costruisse il suo palazzo.

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La gatta, che sporge dal cornicione, è da sempre oggetto di leggende curiose e molto misteriose. C’è chi dice che una gatta della zona, vagabondando nella notte, avesse visto il divampare di un incendio e, svegliando tutti con i suoi acuti miagolii, avesse salvato le case e le vite degli abitanti. La piccola statuetta sarebbe dunque una testimonianza della gratitudine popolare.

Ma è più conosciuta la storia che narra di una bambina che stava per cadere dal cornicione. Così una gatta, con il suo miagolio incessante, avrebbe fatto accorrere in soccorso la madre, evitando dunque la tragedia. Anche in questo caso la piccola felina sarebbe stata collocata sul cornicione dell’edificio in segno di gratitudine.

Un’altra storia ancora invece suggerisce che la direzione dello sguardo dell’animale indicherebbe il punto esatto in cui è stato nascosto un meraviglioso tesoro.  Ma chissà qual è la verità!

E voi? Conoscete qualche altra leggenda?

 

Articolo di Federica Mancusi

 

Foto da www.panoramio.com

La visione di Augusto e “l’Altare del Cielo”

Sapevi che nella Chiesa dell’Ara Coeli si trova un reperto che lega l’impero romano all’origine della chiesa cristiana?

Dopo aver salito i ripidi gradini che precedono l’ingresso, entrare nella chiesa non è solo uno spettacolo, ma riserva anche un enigma al visitatore; sulla terza colonna a sinistra è possibile, con un po’ di attenzione, scorgere un’incisione che recita: “ A cubiculo augustorum” che vuol dire “Dalla stanza degli augusti” segno questo, che indica la provenienza della colonna proprio dalla casa dell’imperatore. Qual’ è il nesso?

La chiesa dell’Ara Coeli, che significa “Altare del cielo”, sorge su un l’altare che l’imperatore fece edificare in onore di un misterioso “Signore del Cielo” in seguito ad una visione avuta, proprio nella sua stanza, pochi anni prima della nascita di Gesù; la nitida visione aveva ad oggetto una donna che gli annunciava l’arrivo del Signore dei Cieli.

Augusto non poteva immaginare chi fosse quel misterioso “Signore”, ne che esso avrebbe scosso alle fondamenta l’impero di cui era a capo, ma quella visione lo coinvolse a tal punto da fargli edificare un altare in onore del cielo; su quell’altare ora sorge la chiesa  dell’Ara Coeli.

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Chiesa dell’Ara Coeli

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Colonna con incisione

Roberta Sardo

Foto da:it.wikipedia.org, romaleggendaria.blogspot.com

“Quante strade rare e belle, sò l’orgojo de ‘sto monno, che t’incanti ner vedelle”

Oggi abbiamo scelto un posto di Roma che forse molti di voi conoscono, ma che nasconde qualche bella storia che vorremmo raccontarvi.

Avete presente Piazza del Popolo? Certo – direte – chi non la conosce? Chiunque sia passato da Roma probabilmente avrà fatto un salto in questa splendida piazza, fra le più famose della Capitale. E Piazza di Spagna? Anche quella. Sempre piena di turisti, con una fama internazionale, Trinità dei Monti e la sua fiorita scalinata. Due fra le piazze più belle e famose di Roma, in cui molti e molte di voi saranno passati almeno un centinaio di volte. Allora, cosa c’è da dire più di questo?

In effetti non sono questi i luoghi di Roma in cui volevamo accompagnarvi oggi. Il posto in cui andremo si trova da queste parti, fra Piazza di Spagna e Piazza del Popolo. Qui c’è una via molto famosa  e frequentata: Via del Babbuino. Ed è proprio fra le parallele di questa via che nasconde il luogo di oggi.

Sapete che posto è quello ritratto nella foto qui sotto? Probabilmente alcuni di voi saranno in grado di riconoscerla, tanti altri forse no. Ma se siete curiosi, basta avere ancora un po’ di pazienza e scendere un po’ più in basso nella pagina e saprete cosa vi vogliamo raccontare.

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Molti la conoscono come La Via degli Artisti ma il suo vero nome è Via Margutta, una piccola oasi incantata al centro di Roma. Varcando l’ingresso di questa via sembra davvero di essere scaraventati in un universo parallelo. La confusione del centro fa lentamente spazio ad un posto che sembra sospeso fra sogno e realtà, alla quiete soave di una via in cui anche l’aria è leggera, priva di smog.

Via Margutta

Via Margutta

Nel 1400 questa zona è occupata principalmente da comunità religiose ed horti, ma subisce profonde trasformazioni a seguito di un processo di lottizzazione.

Via Margutti diviene una piccola via situata nella parte posteriore dei palazzi di Via del Babbuino,

dove vengono parcheggiate le carrozze e in cui sono ubicate le scuderie. La zona, inoltre, ospita le case di lavoratori dell’epoca quali muratori, marmisti, stallieri, cocchieri che svolgevano la loro attività in questo viottolo. Un artista ignoto apre la sua prima bottega e comincia a realizzare le prime opere d’arte, dando il via a quel grande slancio artistico che la caratterizzerà fino ai giorni nostro.

Nel corso del Cinquecento lo scenario subisce variazioni ancora più profonde e questa strada acquisisce quell’assetto bohemien che le è tipica. In questo periodo, infatti, si insediano nella zona artisti e stranieri, una fascia sociale molto raffinata. Il verde diventa l’aspetto predominante, la via assume odori e sapori tipici, con le botteghe degli artisti che crescono a vista d’occhio, come tanti piccoli fiori in mezzo ad uno splendido paesaggio all’arrivo della Primavera.

Ai primi del Novecento nella zona fioriscono anche un gran numero di opere artistiche; in particolare nel 1927, in questa via, dall’architetto Pietro Lombardi viene realizzata la Fontana delle Arti, una piccola fontana a base triangolare che all’apice presenta secchi e pennelli e contiene due volti, uno triste e l’altro sorridente, emblema tipico dell’arte.

La Fontana delle Arti

La Fontana delle Arti

La via diventa famosa negli anni ’50, dopo per aver ospitato alcune scene del film Vacanze Romane e di Un Americano a Roma. Da questo momento in poi diventerà residenza di molti personaggi di rilievo fra qui Federica Fellini e Anna Magnani.

Tutt’ora la strada è sede di iniziative artistiche ed esposizioni, fra cui la più importante è “Cento pittori a via Margutta”, una rassegna artistica nata nel 1953 grazie all’iniziativa di alcuni artisti. L’evento trasforma la via in una mostra a cielo aperto, ricca di colori e forme, che ospita opere anche di artisti sconosciuti.

Una strada che è da sempre il rifugio di artisti, poeti, musicisti, scultori; un luogo in cui l’arte si respira nell’aria, si tocca con mano, dove la trovi ovunque, che ti circonda e ti avvolge.

Targa per Federico Fellini e Giulietta Masina

Targa per Federico Fellini e Giulietta Masina

“Via Margutta, quante strade rare e belle

sò l’orgojo de ‘sto monno

che t’incanti ner vedelle…

io però sai che risponno?

“Via Margutta ormai è lampante

che le batte tutte quante

perchè è unica e speciale

 e ner monno nun c’è uguale!”

Strade belle e rare, come se ne vedono poche, un posto in cui arte e artisti trovano da sempre riposo. Un posto la cui essenza è l’arte a tutto tondo.

Articolo di Federica Ponza

 

Foto da:

roma.blogosfere.it

www.mpnews.it

Il sepolcro di Elio Callistio già “Sedia del Diavolo”

Sapevi che tra l’intricato tessuto stradale del quartiere africano, in una piazza che prende il nome di Elio Callistio, sorge un sepolcro chiamato “Sedia del Diavolo”?

Il sepolcro, dedicato allo schiavo liberato Elio Callistio, ha infatti la forma di un grande trono che, leggenda vuole, sia stato fatto apparire dal re degli inferi per accomodarsi nella città santa.

Si tratta solo di fantasie, certo, ma hanno un fondamento di vita reale!

Nel Medioevo Piazza Elio Callistio era un covo di briganti e prostitute e lì si compivano orge, samba e riti occulti insomma, un luogo degno di Satana soprattutto quando, la notte, le luci dei falò si accendevano al suo interno donandogli un aspetto spettrale.

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Targa in marmo di Piazza Elio Callistio

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Sepolcro di Elio Callistio

Roberta Sardo

Foto da: www.06blog.it, www.tripadvisor.it

Respirare arte anche ai bordi di Villa Torlonia: la Casina delle Civette

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La Casina delle Civette

Chi vive a Roma, ma anche chi la visita solamente da turista, respira l’arte in ogni sua forma. Quella classica, quella moderna…non si può sfuggirle quando si passeggia per le vie della città, tra i Fori e le gallerie d’arte, nemmeno quando corriamo o organizziamo un semplice pic-nic a Villa Torlonia. Non serve nemmeno arrivare nel cuore del parco, già sulla soglia delle sue mura scorgiamo la Casina delle Civette, emblema unico dello stile Liberty romano. Nascosta da una piccola collina artificiale, è una piccola oasi rispetto all’ufficialità della residenza principale.

La Casina deve il suo nome alle numerose civette che l’adornano, sia all’interno che all’esterno, sulle vetrate, e fino all’Ottocento era conosciuta anche con il nome di Capanna Svizzera, per il suo aspetto rustico, molto simile a uno chalet svizzero o un rifugio alpino. Fu ideata nel 1840 da Giuseppe Jappelli per volere del principe Alessandro Torlonia e ben presto cominciò ad essere modificata nel suo aspetto, iniziando a prendere le forme di quel “Villaggio Medievale” che il nipote del principe, Giovanni Torlonia Jr. commissionò all’architetto Enrico Gennari. È proprio con Gennari che l’edificio comincia a trasformarsi in una residenza elegante, con grandi finestre, porticati, vetrate e maioliche colorate.

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Particolare di una vetrata: la civetta da cui la Casina prende il nome

La denominazione “Villino delle Civette” risale al 1916, quando Duilio Cambellotti decora la vetrata con due civette stilizzate tra tralci d’edera, oltre che per il ricorrere quasi ossessivo del tema della civetta nelle decorazioni e nel mobilio, voluto dal principe Giovanni, un uomo scontroso e amante dei simboli esoterici. Sempre nello stesso periodo, l’architetto Vincenzo Fasolo aggiunse le strutture del fronte meridionale della Casina, elaborando un fantasioso apparato decorativo in stile Liberty.

Tra le tante decorazioni la presenza delle vetrate è così prevalente da costituire la cifra distintiva dell’edificio: le vetrate sono un “unicum” nel panorama artistico internazionale, prodotte tutte dal laboratorio di Cesare Picchiarini su disegni di Duilio Cambellotti, Umberto Bottazzi, Vittorio Grassi e Paolo Paschetto. Ma con la morte del principe Giovanni, iniziò anche il degrado della Casina che, tra il 1944 e il 1947, fu occupata, insieme a tutta la villa, dalle truppe angloamericane.

Sul finire degli anni Settanta il Comune di Roma acquisì la Villa e sia gli edifici sia il parco erano in condizioni disastrose, per non parlare dei danni provocati da un incendio nel ’91. L’anno successivo iniziarono i lavori di restauro che si sono avvalsi di molteplici fotografie, di numerosi documenti d’archivio e dei verbali redatti durante l’occupazione bellica per far tornare a splendere la Casina delle Civette e l’intera Villa Torlonia. Le fotografie sono state utilizzate per la ricostruzione dell’aspetto degli esterni dell’edificio, mentre i verbali e i documenti d’archivio hanno dato informazioni utili soprattutto sulle decorazioni e gli arredi interni.

Quella che oggi vediamo è opera di mani pazienti e abili che hanno portato a termine, nel 1997, un lungo, paziente e meticoloso lavoro di restauro, restituendo a Roma uno dei più singolari e interessanti manufatti dei primi anni del Novecento.

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Altra vetrata della Casina

 

Articolo di Elisa Salvati

Foto da: http://www.pass2go.it; http://www.museivillatorlonia.it; wikipedia.it