Le stazioni ferroviarie sono dei luoghi di transizione, di passaggio. Spesso le persone ci passano in gran corsa per andare a prendere questo o quel treno, senza mai avere neppure il tempo di guardarsi intorno e riflettere su quelle pareti, sulla loro provenienza e sul perché siano proprio in quel modo e non in un altro. Anche chi si ferma per un po’, magari in un’attesa imprevista o un po’ più lunga del solito, non lo fa pensando al luogo che lo circonda.
Le stazioni, in fondo, sono dei “non luoghi” perché non esistono come posti a sé, esistono in funzione delle mete che le persone che ci passano vogliono raggiungere. Sono paragonabili all’atrio di una casa, che accoglie ogni ospite e viaggiatore, ma che viene attraversato già con il pensiero di quello che ci sarà dopo.
John Lennon cantava che “La vita è quello che ti accade mentre sei occupato a fare altri progetti”. Ecco, forse anche per i posti vale lo stesso. Alcune volte capita che i luoghi li dai per scontato, li vivi superficialmente perché sei impegnato a fare altro e poi ti rendi conto che – forse – ti saresti potuto fermare un attimo di più ad assaporarli e conoscerli.
Noi abbiamo fatto proprio questo: ci siamo recati in Punta di Piedi in un posto che tutti conoscete ma che forse ha qualcosa in più da raccontare.
Si tratta della Stazione di Roma Termini che si trova sul colle Esquilino ed è la più grande d’Italia e al secondo posto in Europa.
Il nome della stazione deriva dal latino thermae, in riferimento alle vicine Terme di Diocleziano che quindi le danno il nome.
La stazione nasce da un progetto del 1860, presentato all’allora papa Pio IX, inizia ad essere costruita nel 1862 e aperta al pubblico nel 1863. Il suo nome inizialmente era Stazione Centrale delle Ferrovie Romane. Tra varie interruzioni dovute a diverse vicissitudini storiche, la stazione viene finalmente ultimata nel 1874 sulla base di un progetto dell’architetto Salvatori Bianchi.
La piazza di fronte alla stazione che ha il nome di Piazza Termini – e che nel 1888 diventa l’attuale Piazza dei Cinquecento in onore dei 500 soldati morti a Dogali- ospita l’Obelisco di Dogali che, successivamente, negli anni ’20 viene spostato nel giardino di via delle Terme di Diocleziano. Nei dintorni, poi, la stazione è circondata da terreni che erano horti, ossia residenze di campagna e alcune superstizioni dicono fossero infestate dai fantasmi.
Nel 1942 si decide di rinnovare e rendere più moderna la stazione e lo si fa attraverso un progetto di Angiolo Mazzoni. La guerra, però, pone un forte freno ai lavori che vengono ultimati nel 1950.
L’idea alla base del progetto è di dare continuità alla struttura rispetto a quello che la circonda, ed in particolare alle Mura Serviane. Per questo motivo la stazione assume il colore bianco ed ha una struttura semplice ed essenziale. Questa sua conformazione e la volontà di far sì che l’edificio abbia un’armonia con il contorno le valgono il nome di “dinosauro” perché il soffitto dell’atrio è ricoperto da tessere bianche di marmo che ricordano delle scaglie.
Sempre su Piazza dei Cinquecento c’è la Lampada OSRAM, un palo alto con in cima una serie di lampada a vapori di mercurio e che viene impiantata nel 1960 dalla OSRAM, appunto, in occasioni delle Olimpiadi di Roma.
Insomma, Roma Termini ha una sua storia, che la eleva ufficialmente dalla condizione di “non luogo” e la fa diventare a tutti gli effetti un luogo che ha le sua storia e le sue storie da raccontare. Una storia legata alla sua costruzione e che noi vi abbiamo narrato; delle storie legate a chi ci passa sempre o c’è passato, che potreste – invece – raccontare voi a noi.
Articolo di Federica Ponza